Romina Rubino
Psicologa, Psicoterapeuta Psicoanalista italiana a Londra
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Romina Rubino

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Nessuno è te e questo è il tuo potere

by Romina Rubino 16/02/2022
written by Romina Rubino

Quando arriva un nuovo paziente di solito la prima domanda che fa è di essere trasformato in qualcosa di diverso da ciò che è: chi è ansioso vuole diventare calmo, chi si sente debole si desidera forte, chi è spaventato vuole trovare il coraggio.

Si tratta di un’idea che spesso deriva dal paragonarci continuamente agli altri, un’abitudine che ci spinge a pensare non solo che la vita degli altri è sempre migliore della nostra, ma che ci fa perdere in un’immagine idealizzata dell’Altro che, diversamente da noi, sarebbe così sempre felice, riuscendo ad evitare la sofferenza.
Così ci convinciamo che se riusciamo ad assomigliare un po’ di più a quel personaggio famoso o a quell’amico popolare sempre di buonumore allora saremo finalmente felici.

All’inizio del percorso le aspettative di trasformazione sono spesso molto alte e sono accompagnate da una bassa autostima: dalla convinzione cioè, che se soffriamo è perché ci manca qualcosa che speriamo il terapeuta possa fornirci, guarendoci.

C’è un momento però in cui smettiamo di desiderarci diversi e iniziamo a valorizzare chi siamo con i nostri limiti e le nostre risorse. É quello il momento in cui inizia un lavoro più profondo, in cui siamo grati per la nostra storia, per quanto difficile possa essere stata, perché è anche grazie al dolore che abbiamo vissuto che oggi siamo noi stessi.

Realizziamo che i nostri limiti fanno parte di noi e che non abbiamo bisogno di liberarcene per andare bene.
Smettiamo di pensare che dobbiamo cambiare il nostro corpo, che dobbiamo deformarci fino a diventare irriconoscibili ed estranei a noi stessi e iniziamo ad amarci per ciò che siamo oggi, con tutti i nostri “difetti”.

Non abbiamo bisogno di essere qualcun altro per essere amati, abbiamo bisogno solo di sintonizzarci con noi stessi e di iniziare ad amarci per primi con tutte le nostre cicatrici.

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Paragonarsi agli altri

by Romina Rubino 16/02/2022
written by Romina Rubino

Paragonarci agli altri è uno degli atteggiamenti più diffusi con cui spesso ci autosabotiamo.

La cultura in cui viviamo ci spinge più che in passato a paragonarci agli altri. Attraverso i social siamo continuamente esposti alle immagini (apparentemente) felici degli altri e finiamo per pensare di essere gli unici a soffrire, sentendoci sempre più soli.

Alla base di questa tendenza di paragonarci agli altri c’è un meccanismo evoluzionistico che affonda le sue radici nell’infanzia: quando siamo piccoli infatti impariamo a stare al mondo attraverso l’imitazione delle figure di riferimento. Una volta che diventiamo adulti però, facciamo fatica a pensare a noi stessi come soggetti unici e irripetibili e continuiamo a confrontare il nostro percorso con quello degli altri nel tentativo inconscio di sentirci parte della società.

Quando questo tipo di atteggiamento assume le sue forme più estreme finiamo per pagare un prezzo molto alto: non riusciamo a percepire e a godere delle tante ricchezze che abbiamo perché nel frattempo il nostro sguardo è rivolto alle ricchezze degli altri e ci perdiamo in un vortice fatto di bassa autostima e invidia.

Ciascuno ha il proprio percorso, la propria storia, tempi e risorse diversi e pensare di potersi confrontare con i percorsi degli altri non solo non ci aiuta, ma non è possibile!

In questo video approfondiamo insieme:

👉🏻perché non ha senso paragonare la propria vita a quella degli altri da dove nasce questo atteggiamento
👉🏻come riconoscere quando accade e cosa fare quando ce ne rendiamo conto

🌻Ti è mai capitato di fare paragoni? Senti che è un qualcosa che ti aiuta?

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Di coccinelle e larve interiori

by Romina Rubino 16/02/2022
written by Romina Rubino

La settimana scorsa ho fatto una cosa che non avrei mai pensato di fare: ho comprato delle coccinelle!

Quando uno degli alberi del giardino è stato infestato da strani insetti neri, il mio primo istinto era di cercare di liberarmene il prima possibile. Ero spaventata, perché non li avevo mai visti e sentivo un forte senso di invasione.

La soluzione più semplice sarebbe stata comprare un veleno e superare velocemente il problema.
Ho deciso però di fermarmi e fare qualche ricerca, ho pensato che valesse la pena provare a capire ed è così che ho scoperto che una soluzione diversa esiste e sono proprio le coccinelle, che si nutrono delle larve di altri insetti parassiti proteggendo i giardini.

Mentre liberavo le coccinelle che mi sono arrivate per posta il giorno dopo (!) mi sono fermata a riflettere su come quando ci muoviamo spinti dalla paura finiamo per liberarci frettolosamente da situazioni che invece potrebbero rivelarsi preziosi momenti di crescita.

Se ci fermiamo a riflettere e ci incuriosiamo delle nostre “larve interiori”, forse possiamo scoprire che invece, possono diventare utili alleati e aiutarci a mantenere rigogliosi i nostri giardini interni.

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body shamingil corpo delle donneLondon lifestereotipi di genere

Imparare a dire di no: mettere i confini

by Romina Rubino 01/06/2021
written by Romina Rubino

Nel 1974 l’artista Marina Abramovic, famosa per le sue performance particolari ed intense, organizza a Napoli un evento mirato ad esplorare il corpo e la mente umana nelle sue manifestazioni più estreme.

In “Rhythm 0” Marina rimane per 6 ore in piedi, immobile in mezzo al pubblico che viene invitato ad utilizzare una serie di oggetti lasciati a disposizione.
Circondata da rose, piume, miele, profumo, ma anche forbici, scalpelli, lamette e una pistola carica, Marina Abramovic lascia decidere al pubblico se e come usare gli oggetti presenti. Su un biglietto che racchiude le istruzioni della performance si assume la completa responsabilità di cosa accadrà e si impegna a non reagire, a non difendersi, comportandosi come un oggetto. 

Nelle 6 ore successive il pubblico inizia ad interagire con il corpo inerme di Marina in modo del tutto inaspettato in una veloce escalation di violenza che si conclude con una persona che le punta una pistola alla testa. 

Ma la parte più interessante arriva quando allo scadere del tempo Marina smette di essere oggetto e camminando verso il pubblico ritorna essere umano.
È quello il momento esatto in cui tutti scappano via, in cui il pubblico, come risvegliato da uno stato di trance, si sottrae alla possibilità di un confronto, incapace di affrontare Marina come soggetto. 

Questa performance, che mi ha affascinata profondamente, ci racconta cosa accade quando non riusciamo a mettere dei confini, quando facciamo fatica a difenderci dicendo di no.
Racconta di quanto è importante imparare a tutelare i nostri spazi e, con delicatezza ma con decisione, mettere dei limiti a ciò che l’altro può fare di noi. 

Sono tanti i motivi per cui spesso facciamo fatica a tutelare noi stessi e ci ritroviamo a dire di sì quando profondamente sappiamo che stiamo dicendo no a noi stessi. 
Imparare a tutelare e rispettare ciò che sentiamo profondamente senza sensi di colpa e liberi dal timore di essere abbandonati dall’altro è uno degli aspetti che si può affrontare all’interno della terapia. L’obiettivo, come sempre, è comprendere cosa ci spinge a reagire in un certo modo e solo dopo, quando sentiamo di essere pronti, trovare il tempo e il modo giusti per noi per incoraggiarci a fare qualcosa di diverso. 

Il senso di libertà che sperimentiamo quando impariamo a rispettarci ci permette di vivere con noi stessi e con gli altri e di costruire rapporti più sani, liberi da rancori inconsci e dal peso dell’aspettativa che possiamo avere nei nostri confronti come verso l’altro. 

👉🏻 Nel video ci occupiamo del perché facciamo così fatica a dire di no, finendo a volte in situazioni dolorose e dalle quali sembra impossibile uscire e di come invece possiamo promuovere dentro di noi un atteggiamento più attento e comprensivo delle nostre più profonde esigenze.

01/06/2021 0 comment
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London lifeUncategorized

Un raggio di sole a Londra

by Romina Rubino 01/06/2021
written by Romina Rubino

Essere italiani a Londra significa tante cose difficili da spiegare, una di queste è sicuramente imparare ad apprezzare una giornata di sole. 

Spesso sento dire che Londra è una città grigia, io penso invece che sia una buona maestra: non ti regala niente, a volte sembra ti stia privando delle cose più importanti e invece ti guida solo verso i tuoi desideri, ti spinge a capire quanto fortemente vuoi ciò che dici di voler raggiungere. 

Se oggi ho fatto di tutto per godermi qualche ora di sole è perché ho imparato ad apprezzarne il valore: ho imparato che prendersi cura di sé significa anche lasciarsi dietro le strade a volte troppo trafficate del fare e semplicemente stare. 

Sembra semplice e invece ci vuole coraggio, è forse l’obiettivo ultimo e più difficile di una terapia: saper stare in compagnia di se stessi, delle proprie parti più fragili, di quegli aspetti di noi che proprio non sopportiamo. Significa resistere alla tentazione di cambiarle, rinunciare al desiderio di essere sempre qualcosa di diverso da ciò che siamo. 

Oggi mi sono fermata e ho vissuto.

Quante cose si possono imparare da un solo raggio di sole…

01/06/2021 0 comment
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stereotipi di genere

Omofobia

by Romina Rubino 01/06/2021
written by Romina Rubino

Molto spesso si parla di omosessualità, raramente si approfondisce invece quali siano le radici dell’omofobia. 
L’omofobia è il timore ossessivo di scoprirsi omosessuale e l’avversione nei confronti degli omosessuali.
Al contrario dell’omosessualità, che è uno degli orientamenti sessuali naturalmente possibili, l’omofobia è una patologia.

Omofobi non si nasce, ma come per tutte le forme di pregiudizio omofobi si diventa attraverso le spinte dirette e indirette che la cultura e la famiglia ci trasmettono.

Quando i bambini sono disinformati, diseducati alla diversità, all’alterità che ciascuno di noi in qualche modo rappresenta per l’altro, si finisce in una società in cui le minoranze divengono vittime di bullismo e di discriminazione,società in cui non importa più chi sei, qual è la tua storia, quanti passi hai percorso o quanto hai sofferto, ma in cui vieni giudicato solo perché sei donna (e quindi incapace), o sei nero (e quindi inferiore), o sei omosessuale (e quindi strano)…

L’omofobia, avversione verso l’omosessualità e gli omosessuali, è legata all’ignoranza, alla paura di ciò che è diverso da noi e che non conosciamo. 
Il diverso ci spaventa perché ci costringe ad aprire la mente, ci invita a scombinare gli schemi che ci eravamo costruiti e a riorganizzare le nostre idee in un modo nuovo. 

É più facile e più comodo tentare di restringere la complessità della realtà in poche categorie conosciute e ammettere che esistano solo quelle cui sentiamo di appartenere. La realtà però ci chiama ad aprire la mente e a conoscere e a rispettare anche chi può essere molto diverso da noi. 

Londra sa essere una grande maestra, almeno lo è stata per me in tema di inclusione. 
Sicuramente è una grande finestra sulla complessità della vita e forse per questo qualcuno dice che Londra sia il mondo raggruppato in una sola città. 

Comodamente seduta sul sedile di una metro, tante volte mi sono soffermata a scrutare i volti, immaginando di percorrere le storie delle persone davanti a me.
Ho viaggiato, ma stavo facendo in realtà un viaggio molto più lungo di quello che potessi immaginare. Mentre mi perdevo tra i colori dei vestiti tradizionali, gli occhi a mandorla, i capelli blu e tatuaggi, le mani intrecciate di due ragazzi innamorati ero nel cuore del mondo. 

Londra mi ha insegnato la diversità, mi ha insegnato che esiste una realtà per ogni sguardo che la vive e che il compito più importante che abbiamo è lasciar fiorire il nostro vero sé, lontani da pregiudizi e stereortipi.

Mi ha insegnato l’inclusività, il rispetto per la soggettività dell’altro e per tutto ciò che è diverso da me: un arcobaleno di colori, di orientamenti, di forme, di culture, di pensieri tutti diversi ma che se messi insieme possono creare uno spettacolo strabiliante. 

Londra è semplice ma complessa, colorata, inclusiva, diversa. É l’esempio che è possibile un mondo in cui tutti vengono rispettati per ciò che sono: semplicemente se stessi. 

Quando ci permettiamo di andare oltre la paura e di avvicinarci all’altro, scopriamo un mondo di emozioni, di vissuti, di dolore e lacrime che magari assomigliano alle nostre più di quanto potevamo immaginare.

In questo video approfondiamo:
🌈cos’è l’omofobia e come nasce
🌈quali possono essere i significati profondi di questa fobia
🌈perché è importante che tutti promuoviamo una cultura inclusiva 

01/06/2021 0 comment
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Pet therapy: la terapia con gli animali

by Romina Rubino 03/05/2021
written by Romina Rubino

Da quando Jimmy è entrato nella mia vita mi ha insegnato molte cose su come vivere bene e su di me: 

🌿 attraverso di lui ho imparato l’importanza di difendere i propri spazi e di rispettare i propri tempi 
🧘🏻‍♀️ ho allenato la pazienza e la costanza
🦋 ho iniziato a notare suoni, odori e colori che prima mi sfuggivano

Chiunque abbia avuto un animale nella propria vita conosce il potere terapeutico di una coda! 

Oggi vi racconto la storia di Jofi, uno dei cani di Freud. 
Molti lo conoscono come il padre della Psicoanalisi, ma pochi sanno che fu il primo a intuire l’effetto curativo che gli animali possono svolgere sulla mente umana.

Inizialmente Freud non amava particolarmente i cani, finché non decise di comprare un cane per sua figlia per proteggerla durante le sue passeggiate in città. Come spesso vediamo accadere ai padri moderni, Freud fu travolto dall’affetto per questo cane e presto decise di prenderne uno per sé.

Jofi e Freud diventarono inseparabili anche quando lui era nel suo studio a lavorare con i suoi pazienti.
Più Freud conosceva i cani e più scopriva la loro abilità di leggere la mente umana e di saper dare conforto nei momenti difficili.
Lo provò personalmente quando, malato terminale di cancro, scrisse ad un amico: “Vorrei che avessi potuto vedere quanto affetto Jofi mi ha dato in questi giorni infernali, come se capisse tutto.”

L’ipotesi di Freud che i cani abbiano un effetto rilassante sulle persone è stata successivamente confermata in numerosi studi. 
Durante una ricerca per esempio, i partecipanti dovevano svolgere delle funzioni cognitive stressanti mentre veniva monitorata la loro pressione sanguigna. 

Si sono poi divisi i soggetti in 3 gruppi con condizioni diverse: 

  • al primo gruppo è stato affiancato un cane; 
  • al secondo gruppo è stato chiesto di pensare ad un cane; 
  • il terzo gruppo (di controllo) non aveva animali coinvolti

I risultati hanno mostrato come i soggetti accompagnati da un cane o che stavano anche solo pensando ad un cane hanno mantenuto un livello di pressione più basso rispetto al gruppo di controllo.

Gli animali possono avere un’influenza importante in tutta la nostra vita.
Pensa a quante cose puoi imparare da un cane:

Quando una delle persone che ami torna a casa accoglila sempre con entusiasmo.

Non rinunciare mai all’opportunità di divertirti.

Quando è nel tuo interesse, pratica l’obbedienza. 

Fai capire chiaramente agli altri quando hanno invaso il tuo spazio. 

Fai pisolini e stiracchiati prima di alzarti.

Corri, gioca e fai qualcosa di divertente ogni giorno.

Evita di mordere quando puoi risolvere con un semplice ringhio.

Nei giorni di sole, stenditi con la schiena sul prato.

Nei giorni caldi, bevi molta acqua e stenditi all’ombra sotto un albero.

Quando sei felice, balla e muovi tutto il tuo corpo. 

Non importa quante volte verrai rimproverato, non ti abbandonare al senso di colpa e al broncio, torna indietro e fai amicizia.

Goditi la semplice bellezza di una lunga passeggiata. 

Mangia con gusto ed entusiasmo. Fermati quando senti che è abbastanza.

Sii fedele.

Non fingere mai di essere qualcosa che non sei.

Se quello che desideri è sepolto sottoterra, scava finché non lo trovi. 

E soprattutto…

Quando qualcuno sta attraversando una brutta giornata, resta in silenzio, siediti vicino e dai un colpetto gentile col naso!

Nel video:

🐾 esploriamo la Pet Therapy, cioè la terapia con gli animali 

🐾 scopriamo qualche curiosità su come Jofi aiutava Freud durante le sedute

🐾  approfondiamo come una coda può cambiare la nostra vita 

03/05/2021 0 comment
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stereotipi di genere

Il senso di inadeguatezza: “non sono abbastanza”

by Romina Rubino 25/04/2021
written by Romina Rubino

“Glielo dico subito, oggi ho le lacrime in tasca!”
“Va bene, svuotiamo le tasche.”

Giada è una manager e, come spesso accade a chi ricopre questi ruoli, oggi ha ricevuto delle valutazioni dai suoi colleghi di lavoro.

È una donna in gamba, ha studiato e sudato tanto per arrivare dov’è e conquistarsi quel posto tanto desiderato. Eppure, nonostante le decine di riscontri positivi ricevuti in tutto il suo percorso, sembra non vedere altro che il commento anonimo di un collega che le rimanda un’immagine dolorosa di sé: 

‘Troppo concentrata su se stessa, poco propensa ad ascoltare l’altro e troppo intenta ad essere la prima della classe’.

Un commento diretto che con la ferocia di un morso sembra essersi mangiato tutto il resto, arrivando dritto al cuore di Giada, al centro delle sue paure e cancellando ogni obiettivo raggiunto finora.

Conosciamo tutti persone molto determinate, apparentemente molto sicure di sé, che sembrano non avere mai un dubbio, un momento di esitazione.
Giada è una di queste persone, dall’esterno a volte può suscitare antipatia o invidia, ma nella magia della stanza d’analisi dove tutto può cambiare ed essere visto sotto un’altra luce, Giada è una bambina spaventata.

Quando le chiedo se è vero che ha bisogno di avere sempre ragione, risponde candidamente di sì e con le lacrime agli occhi confessa il dolore che si nasconde dietro ai suoi comportamenti. Ne ha bisogno, perché così ha imparato a fare: si è sempre sentita meno degli altri e ha pensato che essere la più brava, rendersi indispensabile, sarebbe stato il modo migliore per non essere abbandonata, per dimostrare a se stessa e agli altri che lei vale. 

“Dottoressa, devo essere io la stella del mio ufficio e non gli altri!”
“Perchè è così importante per lei?”
“Perchè altrimenti mi fanno fuori, come mi facevano fuori da piccola quando ero quella che non veniva mai scelta al momento di formare le squadre… allora ho capito: devo essere sempre la prima, così nessuno mi lascerà mai più fuori.”

Anche dietro personalità all’apparenza così forti, anche dietro i “primi della classe” spesso si cela il timore di non essere abbastanza, la paura di non essere amabili. 

Se almeno una volta nella vita hai mai pensato “non sono abbastanza”, se tutto ciò che ottieni sembra non darti soddisfazione, se non importa quanto ti impegni per raggiungere un obiettivo ma provi sempre un senso di insoddisfazione profonda soffri di un senso di inadeguatezza che evidentemente segnala qualcosa di parti profonde che chiedono di essere ascoltate. 

Il senso di inadeguatezza non ha a che fare con cosa realmente riusciamo a raggiungere, né con quanto impegno mettiamo nelle nostre sfide, è più spesso il segno di una sofferenza profonda intorno a cui costruiamo strategie per andare oltre il dolore.

In questo video:
🌾 approfondiamo i significati del senso di inadeguatezza 
🌻 esploriamo le ragioni culturali che ci spingono a non piacerci
🌸 impariamo l’importanza di accoglierci per ciò che siamo 

25/04/2021 0 comment
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lutto

L’elaborazione del lutto

by Romina Rubino 20/04/2021
written by Romina Rubino

Il lutto è lo stato psicologico che segue la perdita di una persona cara che è stata parte integrante della nostra esistenza. 

In italiano abbiamo un solo termine per riferirci al lutto, parola che deriva da “lugere” (piangere) 

In inglese invece distinguiamo: 
“bereavement” (che indica la perdita di una persona) 
“grief” (comportamenti e sentimenti che insorgono a seguito di una perdita) 
“mourning” (le espressioni sociali che il soggetto esperisce in risposta alla perdita)

Nel processo di elaborazione del lutto ciascuno sviluppa il suo personale stile per affrontare questa esperienza dolorosa.

La psichiatra Kübler Ross ha però elaborato la Teoria delle cinque fasi del lutto teorizzando il processo che porta ad elaborare la perdita.

Queste fasi del lutto possono presentarsi con tempi e modalità diverse da persona a persona, seguendo tempi e ordine di sequenza diversi a seconda dei casi. 

Prima fase: negazione o rifiuto
In questa prima fase si nega la perdita e si tende a rifiutare la realtà come forma di difesa. 
“Non è possibile, non ci credo.”

Seconda fase: rabbia
Si tende a vivere il lutto come un’ingiustizia e si può manifestare con ritiro sociale, solitudine e necessità di direzionare il dolore e/o la sofferenza esternamente o internamente.
“Perché proprio a me? Cosa ho fatto per meritarmelo?” 

Terza fase: patteggiamento, contrattazione
In questa fase si cerca di riprendere contatto con la (seppur dura) realtà e trovare delle nuove strategie per affrontare cosa sta accadendo.
“Se supero questo momento, non sbaglierò più” 

Quarta fase: depressione
A questo punto si prende consapevolezza della perdita, pensando a cosa non si potrà più condividere.
“Non posso farcela, la mia vita così non va” 

Quinta fase: accettazione
Infine si raggiunge la completa elaborazione del lutto ed accettazione della perdita. Si comprende di non essere gli unici ad aver sperimentato quel dolore e che la morte è inevitabile ed è parte della vita. 
“Bisogna andare avanti” 

L’elaborazione del lutto avviene in media in un periodo che può andare dai 6 mesi ai 2 anni.
Quando dopo questo tempo la persona si sente ancora intrappolata in emozioni negative si parla di “lutto complesso”. 

Un lutto non elaborato può condurre a una condizione patologica di lutto persistente in cui le emozioni negative diventano protagoniste e nel lungo termine possono creare un disagio profondo.
Elaborare un lutto significa separarsi non solo da chi non c’è più, ma anche da chi siamo stati con quella persona e dai possibili progetti che avevamo insieme.

A bloccare l’elaborazione a volte intervengono delle credenze inconsce che ci portano a pensare che andare avanti significhi dimenticare o tradire il ricordo della persona amata. Elaborare il lutto invece significa poter pensare con serenità e affetto a chi non c’è più e potersi far riscaldare dai ricordi, apprezzando profondamente ogni singolo momento trascorso insieme.

Il Regno Unito è in lutto per la morte del Principe Filippo, consorte della Regina, un’occasione per occuparci di questo tema e per esplorare le differenze culturali tra italiani e inglesi nell’affrontare il dolore.

La vita dei Principe Filippo è stata una vita davvero interessante.
Figlio di un principe e una principessa, nasce in Grecia il 10 Giugno 1921, ma una serie di vicende tragiche lo portano velocemente lontano dalla comodità di una vita aristocratica.
Per ragioni politiche la sua famiglia è costretta a lasciare la Grecia e lui, ancora piccolissimo, viene trasportato in una cassetta di arance. 
La sua famiglia si stabilisce in Francia, ma Filippo a 16 anni viene mandato nel Regno Unito per frequentare una scuola scozzese (con regime duro e uno stile molto severo) sotto la guida di suo zio. 

In quegli anni, mentre viene allontanato dalla madre che è in una casa di cura per schizofrenia, una delle sue sorelle muore insieme alla sua famiglia in un incidente aereo. L’anno successivo muore anche lo zio, suo tutore, per un cancro. 
Fa carriera in ambito militare e quando viene assegnato alla scorta della Principessa Elisabetta (poi regina) si innamora di lei e si sposano nel 1947.
Filippo rinuncia al suo cognome per prendere quello dei Windsor, la casata regnante e successivamente deve rinunciare anche alla brillante carriera nella marina navale per dedicarsi interamente al suo ruolo e supportare la moglie, compito che svolgerà fino alla fine della sua vita. 

La morte del Principe Filippo ci dà l’occasione di riflettere insieme sul lutto e sulla sua elaborazione. Ci permette di osservare le differenze tra diverse culture nella espressione delle emozioni legate ad eventi così intensi. 

Può essere difficile per noi italiani comprendere fino in fondo quanto gli inglesi siano legati alla casa reale: oggi è come se fosse mancato un nonno ad una nazione intera.
La cultura inglese, in molti casi profondamente diversa da quella italiana, affronta le emozioni e il dolore in un modo controllato e contenuto in pubblico, lasciando invece l’espressione della sofferenza al privato.

Chi non piange in pubblico non sta soffrendo meno: ciascuno trova il proprio modo di passare attraverso una esperienza dolorosa e credo sia importante che impariamo a rispettarne ogni espressione.

In questo video:
🖤approfondiamo le differenze tra culture nell’affrontare il lutto
🖤esploriamo diversi modi in cui può avvenire l’elaborazione del lutto
🖤mettiamo a fuoco cosa può accadere quando il lutto non viene elaborato

20/04/2021 0 comment
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Cibo e Umore

by Romina Rubino 05/04/2021
written by Romina Rubino

“Siamo ciò che mangiamo” diceva Feuerbache, ma che collegamento c’è tra il cibo e la nostra salute mentale? 

Quando siamo in ansia o abbiamo paura diciamo che “ci si torcono le budella”, così come “abbiamo le farfalle nello stomaco” quando siamo innamorati e ragioniamo con “la pancia” quando agiamo d’impulso. 

Tutte queste espressioni ci segnalano quanto il nostro stomaco sia protagonista delle emozioni che colorano i momenti più importanti della nostra vita. 

Molti dei segnali chimici che determinano il nostro umore sono generati infatti nell’intestino, che da molti è considerato il nostro secondo cervello.

Potremmo definirlo la nostra fabbrica della felicità, visto che è lì che viene prodotto il 90% della serotonina, il neurotrasmettitore associato al buonumore e coinvolto nei disturbi depressivi gravi. 

Recenti studi suggeriscono che i batteri che vivono nel nostro intestino influenzano i livelli di ansia e la percezione dello stress. Di questo si occupa la Psichiatria Nutrizionale, una disciplina che studia come poter curare i disturbi mentali con l’alimentazione.
In particolare si è osservato che lo stato del Microbiota (l’insieme dei batteri presenti nel nostro intestino e che sembra essere il tramite attraverso cui intestino e cervello comunicano) possa essere collegato con l’umore. Si è visto infatti che persone che soffrono di disturbi depressivi presentano una carenza di due ceppi di batteri intestinali specifici.
Da qui l’idea di poter trattare i disturbi mentali modificando lo stile alimentare e quindi anche prendendosi cura della flora batterica che popola il nostro intestino e decide quali sono le sostanze nutritive da utilizzare e quali quelle da scartare.

Per questo credo sia importante distinguere tra alimentazione e nutrizione: nel primo caso facciamo riferimento al semplice atto di mangiare con cui semplicemente introduciamo sostanze nel nostro organismo, mentre quando parliamo di nutrizione ci riferiamo a un insieme di processi complessi che vanno dalla scomposizione degli alimenti, all’assorbimento dei nutrienti utili al nostro benessere psico-fisico.

Come una macchina costosa, il nostro cervello funziona meglio quando lo nutriamo con carburante di alta qualità. Per questo, per prenderci cura della nostra mente, è importante imparare a riconoscere gli effetti che i diversi cibi hanno sul nostro umore e sul nostro equilibrio psicofisico.
I cibi che ingeriamo influiscono sulla nostra mente e ogni volta che scegliamo cosa mangiare stiamo scegliendo se e come nutrire la nostra mente. 

Che stile alimentare possiamo adottare allora per migliorare anche la nostra salute mentale?

Ovviamente conviene sempre rivolgersi ad un esperto nutrizionista che possa creare un piano alimentare seguendo le esigenze soggettive, ma ci sono alcune indicazioni di massima che possono aiutare tutti ad adottare uno stile alimentare più sano che tenga conto della funzione che gli alimenti possono avere anche nella nostra salute mentale.

1. Cercare di mangiare più volte al giorno, evitando così di avere pochi pasti e molto grandi, ma facendo diversi spuntini per non arrivare ai pasti principali con troppa fame.

2. Scegliere alimenti che siano nutritivi. Come spiego anche nel video che trovi qui sotto, le famose merendine confezionate ma anche le bevande zuccherate (anche i succhi di frutta sono molto zuccherati!) contribuiscono a creare un picco glicemico (cioè quantità di zucchero nel sangue) che scenderà velocemente per farci sentire molto presto nuovamente fame.
Scegliere mandorle, noci, frutta naturale come spuntino significa introdurre tante vitamine e sali minerali che andranno a nutrire il nostro cervello fornendogli tutte le “mattonelle” con cui costruire ciò che serve per stare bene.

3. Bere molta acqua. Siamo fatti sopratutto di acqua: un adulto medio ne contiene il 60% del peso corporeo, un neonato arriva ad averne fino al 75%. Privare il nostro organismo di acqua significa mettere in cervello in grande difficoltà. Per questo è importante mantenere alti i livelli di idratazione, che facilitano i processi di concentrazione e ci aiutano a pensare più lucidamente. Se viene difficile bere acqua semplice possiamo optare per delle tisane (meglio se senza zucchero).

4. Scegliere il più possibile alimenti crudi e poco processati. Per spiegarla facilmente qualcuno ha detto “mangia solo quello che avrebbe mangiato tuo nonno”. Frutta e verdura di tutti i colori possibili! Ogni colore rappresenta la presenza di un particolare nutrimento: averne la più grande varietà possibile aiuterà il corpo ad avere a disposizione tutti gli elementi necessari per farci stare bene.

4. Fare un uso moderato di caffeina. La caffeina è uno stimolante che ci dà un aumento di energia veloce e temporaneo, un po’ come un fuoco di paglia che ci riscalda molto velocemente ma per poco tempo e poi ricominciamo ad avere freddo. Appena l’effetto energizzante passa possiamo sentirci ansiosi e depressi e, se abusata, la caffeina può interferire con il nostro sonno.
La troviamo, oltre che nel caffè, nel the, nella cioccolata, nella Coca-cola e nelle bevande energizzanti in generale.

5. Inserire nel proprio piano alimentare lo yoghurt. Questo alimento contiene i famosi fermenti lattici attivi che andranno ad arricchire la flora intestinale e ci permetteranno di prenderci cura della salute del nostro intestino.
Meglio scegliere uno yoghurt bianco e aggiungere la frutta fresca e noci o semi naturali per uno snack sano, evitando quelli già pronti che contengono grandi quantità di zuccheri.

Infine, per le donne è consigliato il magnesio per aiutare a stabilizzare gli sbalzi d’umore premestruali. Si può assumere attraverso integratori o cibi ricchi di questa sostanza.
Sembra invece molto frequenche per gli italiani a Londra una carenza di vitamina D (da tenere sempre sotto controllo). Questo fenomeno è dovuto al fatto che la vitamina D richiede l’esposione alla luce solare per essere assorbita. Chi è nato e cresciuto in Italia è abituato quindi ad una maggiore esposizione che viene a diminuire quando ci si trasferisce per esempio a Londra. Per questo è importante controllare spesso i livelli di vitamina D presenti nel corpo e provvedere eventualmente ad una integrazione in caso di carenza.

Queste sono solo alcune indicazioni di massima che possiamo seguire per prenderci cura del nostro equilibrio psico-fisico anche attraverso il cibo. Non significa che non possiamo mai più mangiare cibi processati o bere un bicchiere di vino, ciò che credo sia importante è mantenere un equilibrio e sentire che possiamo prenderci cura di noi anche attraverso le scelte alimentari che facciamo ogni giorno.

In questo video:

🍉scopriamo in che modo stomaco e cervello comunicano
🍒impariamo cos’è la dipendenza da zucchero (o sugar addiction)
🍊quali cibi possono aiutarci a prenderci cura di noi e della nostra salute mentale 

05/04/2021 0 comment
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Romina Rubino Psicoterapeuta Italiana a Londra
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Membro BACP. Riceve a Londra. Email: rominarubino@yahoo.it

Romina Rubino
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