Romina Rubino
Psicologa, Psicoterapeuta Psicoanalista italiana a Londra
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stereotipi di genere

body shamingil corpo delle donneLondon lifestereotipi di genere

Imparare a dire di no: mettere i confini

by Romina Rubino 01/06/2021
written by Romina Rubino

Nel 1974 l’artista Marina Abramovic, famosa per le sue performance particolari ed intense, organizza a Napoli un evento mirato ad esplorare il corpo e la mente umana nelle sue manifestazioni più estreme.

In “Rhythm 0” Marina rimane per 6 ore in piedi, immobile in mezzo al pubblico che viene invitato ad utilizzare una serie di oggetti lasciati a disposizione.
Circondata da rose, piume, miele, profumo, ma anche forbici, scalpelli, lamette e una pistola carica, Marina Abramovic lascia decidere al pubblico se e come usare gli oggetti presenti. Su un biglietto che racchiude le istruzioni della performance si assume la completa responsabilità di cosa accadrà e si impegna a non reagire, a non difendersi, comportandosi come un oggetto. 

Nelle 6 ore successive il pubblico inizia ad interagire con il corpo inerme di Marina in modo del tutto inaspettato in una veloce escalation di violenza che si conclude con una persona che le punta una pistola alla testa. 

Ma la parte più interessante arriva quando allo scadere del tempo Marina smette di essere oggetto e camminando verso il pubblico ritorna essere umano.
È quello il momento esatto in cui tutti scappano via, in cui il pubblico, come risvegliato da uno stato di trance, si sottrae alla possibilità di un confronto, incapace di affrontare Marina come soggetto. 

Questa performance, che mi ha affascinata profondamente, ci racconta cosa accade quando non riusciamo a mettere dei confini, quando facciamo fatica a difenderci dicendo di no.
Racconta di quanto è importante imparare a tutelare i nostri spazi e, con delicatezza ma con decisione, mettere dei limiti a ciò che l’altro può fare di noi. 

Sono tanti i motivi per cui spesso facciamo fatica a tutelare noi stessi e ci ritroviamo a dire di sì quando profondamente sappiamo che stiamo dicendo no a noi stessi. 
Imparare a tutelare e rispettare ciò che sentiamo profondamente senza sensi di colpa e liberi dal timore di essere abbandonati dall’altro è uno degli aspetti che si può affrontare all’interno della terapia. L’obiettivo, come sempre, è comprendere cosa ci spinge a reagire in un certo modo e solo dopo, quando sentiamo di essere pronti, trovare il tempo e il modo giusti per noi per incoraggiarci a fare qualcosa di diverso. 

Il senso di libertà che sperimentiamo quando impariamo a rispettarci ci permette di vivere con noi stessi e con gli altri e di costruire rapporti più sani, liberi da rancori inconsci e dal peso dell’aspettativa che possiamo avere nei nostri confronti come verso l’altro. 

👉🏻 Nel video ci occupiamo del perché facciamo così fatica a dire di no, finendo a volte in situazioni dolorose e dalle quali sembra impossibile uscire e di come invece possiamo promuovere dentro di noi un atteggiamento più attento e comprensivo delle nostre più profonde esigenze.

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Omofobia

by Romina Rubino 01/06/2021
written by Romina Rubino

Molto spesso si parla di omosessualità, raramente si approfondisce invece quali siano le radici dell’omofobia. 
L’omofobia è il timore ossessivo di scoprirsi omosessuale e l’avversione nei confronti degli omosessuali.
Al contrario dell’omosessualità, che è uno degli orientamenti sessuali naturalmente possibili, l’omofobia è una patologia.

Omofobi non si nasce, ma come per tutte le forme di pregiudizio omofobi si diventa attraverso le spinte dirette e indirette che la cultura e la famiglia ci trasmettono.

Quando i bambini sono disinformati, diseducati alla diversità, all’alterità che ciascuno di noi in qualche modo rappresenta per l’altro, si finisce in una società in cui le minoranze divengono vittime di bullismo e di discriminazione,società in cui non importa più chi sei, qual è la tua storia, quanti passi hai percorso o quanto hai sofferto, ma in cui vieni giudicato solo perché sei donna (e quindi incapace), o sei nero (e quindi inferiore), o sei omosessuale (e quindi strano)…

L’omofobia, avversione verso l’omosessualità e gli omosessuali, è legata all’ignoranza, alla paura di ciò che è diverso da noi e che non conosciamo. 
Il diverso ci spaventa perché ci costringe ad aprire la mente, ci invita a scombinare gli schemi che ci eravamo costruiti e a riorganizzare le nostre idee in un modo nuovo. 

É più facile e più comodo tentare di restringere la complessità della realtà in poche categorie conosciute e ammettere che esistano solo quelle cui sentiamo di appartenere. La realtà però ci chiama ad aprire la mente e a conoscere e a rispettare anche chi può essere molto diverso da noi. 

Londra sa essere una grande maestra, almeno lo è stata per me in tema di inclusione. 
Sicuramente è una grande finestra sulla complessità della vita e forse per questo qualcuno dice che Londra sia il mondo raggruppato in una sola città. 

Comodamente seduta sul sedile di una metro, tante volte mi sono soffermata a scrutare i volti, immaginando di percorrere le storie delle persone davanti a me.
Ho viaggiato, ma stavo facendo in realtà un viaggio molto più lungo di quello che potessi immaginare. Mentre mi perdevo tra i colori dei vestiti tradizionali, gli occhi a mandorla, i capelli blu e tatuaggi, le mani intrecciate di due ragazzi innamorati ero nel cuore del mondo. 

Londra mi ha insegnato la diversità, mi ha insegnato che esiste una realtà per ogni sguardo che la vive e che il compito più importante che abbiamo è lasciar fiorire il nostro vero sé, lontani da pregiudizi e stereortipi.

Mi ha insegnato l’inclusività, il rispetto per la soggettività dell’altro e per tutto ciò che è diverso da me: un arcobaleno di colori, di orientamenti, di forme, di culture, di pensieri tutti diversi ma che se messi insieme possono creare uno spettacolo strabiliante. 

Londra è semplice ma complessa, colorata, inclusiva, diversa. É l’esempio che è possibile un mondo in cui tutti vengono rispettati per ciò che sono: semplicemente se stessi. 

Quando ci permettiamo di andare oltre la paura e di avvicinarci all’altro, scopriamo un mondo di emozioni, di vissuti, di dolore e lacrime che magari assomigliano alle nostre più di quanto potevamo immaginare.

In questo video approfondiamo:
🌈cos’è l’omofobia e come nasce
🌈quali possono essere i significati profondi di questa fobia
🌈perché è importante che tutti promuoviamo una cultura inclusiva 

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stereotipi di genere

Il senso di inadeguatezza: “non sono abbastanza”

by Romina Rubino 25/04/2021
written by Romina Rubino

“Glielo dico subito, oggi ho le lacrime in tasca!”
“Va bene, svuotiamo le tasche.”

Giada è una manager e, come spesso accade a chi ricopre questi ruoli, oggi ha ricevuto delle valutazioni dai suoi colleghi di lavoro.

È una donna in gamba, ha studiato e sudato tanto per arrivare dov’è e conquistarsi quel posto tanto desiderato. Eppure, nonostante le decine di riscontri positivi ricevuti in tutto il suo percorso, sembra non vedere altro che il commento anonimo di un collega che le rimanda un’immagine dolorosa di sé: 

‘Troppo concentrata su se stessa, poco propensa ad ascoltare l’altro e troppo intenta ad essere la prima della classe’.

Un commento diretto che con la ferocia di un morso sembra essersi mangiato tutto il resto, arrivando dritto al cuore di Giada, al centro delle sue paure e cancellando ogni obiettivo raggiunto finora.

Conosciamo tutti persone molto determinate, apparentemente molto sicure di sé, che sembrano non avere mai un dubbio, un momento di esitazione.
Giada è una di queste persone, dall’esterno a volte può suscitare antipatia o invidia, ma nella magia della stanza d’analisi dove tutto può cambiare ed essere visto sotto un’altra luce, Giada è una bambina spaventata.

Quando le chiedo se è vero che ha bisogno di avere sempre ragione, risponde candidamente di sì e con le lacrime agli occhi confessa il dolore che si nasconde dietro ai suoi comportamenti. Ne ha bisogno, perché così ha imparato a fare: si è sempre sentita meno degli altri e ha pensato che essere la più brava, rendersi indispensabile, sarebbe stato il modo migliore per non essere abbandonata, per dimostrare a se stessa e agli altri che lei vale. 

“Dottoressa, devo essere io la stella del mio ufficio e non gli altri!”
“Perchè è così importante per lei?”
“Perchè altrimenti mi fanno fuori, come mi facevano fuori da piccola quando ero quella che non veniva mai scelta al momento di formare le squadre… allora ho capito: devo essere sempre la prima, così nessuno mi lascerà mai più fuori.”

Anche dietro personalità all’apparenza così forti, anche dietro i “primi della classe” spesso si cela il timore di non essere abbastanza, la paura di non essere amabili. 

Se almeno una volta nella vita hai mai pensato “non sono abbastanza”, se tutto ciò che ottieni sembra non darti soddisfazione, se non importa quanto ti impegni per raggiungere un obiettivo ma provi sempre un senso di insoddisfazione profonda soffri di un senso di inadeguatezza che evidentemente segnala qualcosa di parti profonde che chiedono di essere ascoltate. 

Il senso di inadeguatezza non ha a che fare con cosa realmente riusciamo a raggiungere, né con quanto impegno mettiamo nelle nostre sfide, è più spesso il segno di una sofferenza profonda intorno a cui costruiamo strategie per andare oltre il dolore.

In questo video:
🌾 approfondiamo i significati del senso di inadeguatezza 
🌻 esploriamo le ragioni culturali che ci spingono a non piacerci
🌸 impariamo l’importanza di accoglierci per ciò che siamo 

25/04/2021 0 comments
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“Sei brutta, vergognati!”: body shaming e stereotipi sulla bellezza

by Romina Rubino 31/08/2020
written by Romina Rubino

Armine Harutyunyan è una ragazza di 23 anni e di lavoro fa la modella.

Collabora con Gucci che in questi giorni l’ha inserita nella lista delle 100 modelle più sexy del mondo, scatenando un vero e proprio inferno di commenti sessisti e offensivi.

La modella originaria di Yerevan, in Armenia, era già finita al centro dell’attenzione a Settembre 2019 quando ha sfilato a Parigi sempre per Gucci per la famosa Fashion Week.

Mentre la sfilata di Parigi, i cui abiti erano ispirati alle malattie mentali, poteva essere un’occasione per aprire un dibattito su questo tema delicato, è stata invece la comparsa della modella a causare una tempesta mediatica.

“Ma è almeno una donna?”

“Voi ci uscireste fuori a cena?”

“Come si può stare con una così?”

Questi i commenti di uomini, ma anche di moltissime donne, sotto alcune delle sue foto.

La sua colpa? Non essere conforme agli stereotipi di bellezza a cui ci hanno abituati.

Ma davvero la bellezza deve essere fatta per forza e solo da corpi longilinei e statuari e visi dai lineamenti armonici?

Il pregiudizio sulla bellezza e l’offendere l’altro per il suo aspetto fisico non conforme alla “norma” è un fenomeno conosciuto col nome di Body Shaming.
Di questo è stata vittima la modella che, insieme a Gucci, non ha risposto alle provocazioni. In cambio è rimasta per giorni sulle prime pagine di tutti maggiori siti e non solo quelli che si occupano di moda.

Alessandro Michele, attuale direttore creativo di Gucci, sta cercando di cambiare questa idea di bellezza convenzionale, scegliendo modelle “fuori dagli schemi” a cui siamo abituati. Un modo per spingerci a riflettere sul concetto di bellezza e su come valutiamo gli altri e noi stessi.

Il modo in cui trattiamo gli altri infatti, è un riflesso di come trattiamo noi stessi interiormente.
Il body shaming, l’abitudine di criticare se stessi e gli altri per l’aspetto fisico, può portare a un pericoloso circolo vizioso di giudizio e auto-critica.

Hai mai pensato a quanto spesso ti viene detto di cambiare la tua immagine? I giornali ci offrono consigli su come perdere peso in pochi giorni, apparire immediatamente più magri e nascondere le “imperfezioni” senza sapere niente di noi e ancora meno del nostro aspetto fisico.

Valentina Ferragni, sorella dell’influencer Chiara Ferragni, è stata una tra le tante vittime di body shaming su Instagram dove ha risposto alle accuse degli haters (letteralmente “odiatori”, detti anche “leoni da tastiera”) con queste parole:

“Continuo a ricevere messaggi (privati e pubblici) in cui mi si “vieta” di mostrare il mio corpo perché “faccio troppo schifo” – ha scritto sul social – e per decenza pubblica dovrei evitare. Allora manco al mio peggior nemico direi mai cose di questo genere e ovviamente lo si fa solo per far sentire la gente di merd*, per farla sentire piccola e sminuirla; e indovinate chi me l’ha scritto? Guarda caso una ragazza.”

Si tratta di chiari esempi di body shaming, un fenomeno che possiamo trovare ovunque.

Nei telefilm, per esempio, molto spesso i personaggi sovrappeso sono oggetto di battute.

È una delle prime cose che si commenta quando incontriamo una persona che non vedevamo da tempo, o una donna incinta o che ha appena partorito: “È ingrassata!”, “Quanti kili ha preso durante la gravidanza?”.

È diventata la norma giudicare e criticare una persona per il suo corpo.

Il Body shaming si può manifestare in diversi modi infatti:

  • Criticando il tuo aspetto fisico, attraverso giudizi o paragonandoti ad altre persone (per esempio: “Sono così brutta in confronto a lei”, “Vorrei fare l’operazione per cambiare il mio naso”)
  • Criticando l’aspetto fisico degli altri di fronte a loro (per esempio: “Con quelle cosce non troverai mai nessuno”, “Sei troppo magra, sembri malata”)
  • Criticando gli altri alle spalle (per esempio: “Hai visto cosa si è messa quella? Sembra una balena.”, “Se uno è grosso non dovrebbe vestirsi così”)

Non importa in che forma si manifesti, il body shaming ci porta al confronto continuo con l’altro e alla vergogna e alimenta l’idea le persone dovrebbero essere giudicate sopratutto per le loro caratteristiche fisiche.

Che impatto ha questa ossessione per il corpo su di noi? E quali possono essere le conseguenze sugli adolescenti (che notoriamente attraversano una fase delicata nel rapportarsi con i cambiamenti del proprio corpo)?

Questo è un problema che colpisce maggiormente le donne perché culturalmente l’immagine femminile, il corpo soprattutto, è oggetto di commenti di ogni tipo. I giornali per esempio tendono a soffermarsi quasi sempre sui dettagli fisici delle donne famose e non.

Che si tratti della scienziata che ha vinto un premio prestigioso, di una giornalista che presenta un telegiornale o di una vittima di violenza, le notizie che riguardano le donne comprendono molto spesso un commento, positivo o negativo che sia, su come sono vestite o sulla forma del loro fisico.

Nel mio studio sono ormai abituata ad ascoltare le ansie sull’aspetto fisico di ragazze di ogni tipo, convinte di non essere abbastanza, ossessionate dal peso, preoccupate di dover affrontare gli occhi curiosi e giudicanti di amici e parenti che dovranno rivedere.

Si tratta di ragazze e donne comuni, spesso in carriera, intelligenti e con diverse esperienze di vita alle spalle. Eppure tutte hanno in comune questo senso di insicurezza verso il proprio corpo, tutte si sentono in difetto almeno rispetto ad una caratteristica del proprio aspetto fisico.

Come psicologa italiana a Londra, noto che la preoccupazione per l’aspetto fisico è molto più accentuato tra le ragazze italiane. Ho iniziato allora a fare attenzione ai messaggi lanciati in tv (oltre a quelli sui social) e ciò che mi ha colpito guardando qualche trasmissione italiana è lo stereotipo della bellezza. Non c’è diversità, le modelle sono tutte uguali: capelli lunghi, prevalentemente lisci con qualche onda, corpi magrissimi: l’unica forma fisica rappresentata (perché in natura ne esistono diverse!) è solo quella longilinea e con poche forme.

Sugli stereotipi del corpo femminile ci sarebbe molto da scrivere (e mi propongo di farlo prossimamente). C’è un motivo storico per cui dobbiamo non piacerci. C’è un piano di marketing ben studiato per farci sentire sempre in difetto, arricchendo così le tasche di chi vende prodotti “di bellezza” (come se la bellezza si potesse comprare).

Stereotipi che però paghiamo a caro prezzo, non solo in termini generali perché viviamo male, ma anche come società.

Certamente le modelle senza un filo di grasso né di cellulite (apriremo un capitolo a parte sull’invenzione della cellulite come malattia), sono stereotipi, modelli irraggiungibili, per le persone comuni.
Spesso, il confronto di sé con immagini di questo tipo innesca – insieme ad altri fattori – disturbi psicologici anche gravi come la bulimia e l’anoressia.

Da questo tipo di visione deriva l’incalzante crescita dei disturbi alimentari che colpiscono sopratutto le ragazze:

“Tutti i disturbi dell’alimentazione sono più frequenti nella popolazione femminile che in quella maschile: negli studi condotti su popolazioni cliniche, gli uomini rappresentano il 5-10% di tutti i casi di anoressia nervosa, il 10-15% dei casi di bulimia nervosa.

L’incidenza dell’anoressia nervosa è di almeno 8-9 nuovi casi per 100mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi.

Per quanto riguarda la bulimia nervosa ogni anno si registrano 12 nuovi casi per 100mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra gli uomini.”

(Fonte: http://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?lingua=italiano&id=4470&area=Salute%20donna&menu=patologie)

Qui a Londra infatti l’attenzione verso questa tematica è molto forte. Recentemente il sindaco Sadiq Khan ha vietato tutti i manifesti pubblicitari sui mezzi pubblici che minano l’autostima delle persone.

Immagini di modelle magrissime e perfette esercitano una pressione fortissima negativa sulle ragazze sopratutto più giovani perché si conformino alla regola.

Khan ha detto: “Come padre di due adolescenti, sono estremamente preoccupato per questo tipo di pubblicità che sminuisce le persone, in particolare le donne, e le spinge a vergognarsi dei loro corpi”.

Per questo ha fatto rimuovere una pubblicità che per pubblicizzare prodotti dimagranti chiedeva: “Il tuo corpo è pronto per la prova costume?”

Questo tipo di stereotipi sono negativi anche per la popolazione maschile: se da un lato riduce la donna al suo corpo trattandolo come un oggetto, dall’altro innesca nella mente degli uomini dei meccanismi di confronto tra le modelle e le partner della vita reale che – sempre insieme ad altri fattori – possono scatenare frustrazione, insoddisfazione e addirittura crisi nei rapporti di coppia.

Per dirvi quanto seriamente è trattato questo tema qui, il sindaco ha intenzione di affidare a una commissione di vigilanza sulle pubblicità che opererà la censura delle immagini  che promuovono stereotipi  che possono ferire i sentimenti delle donne che girano per Londra.

Vorrei concludere (per ora) con un pezzo del toccante monologo di Vanessa Incontrada, anche lei vittima di Body Shaming:

“A volte vorrei parlare alla Vanessa di 20 anni fa e darle un piccolo consiglio: Vane smetti di voler essere diversa da quello che sei perché tanto la perfezione non esiste.
Io volevo diventare ciò che non sono, tutti mi volevano diversa. Ma tutti chi?
Ho perso tempo a cercare di essere giusta dimenticandomi di essere felice. Se fossi nata negli anni Trenta o Cinquanta quando il modello femminile era morbido sarei stata perfetta, però io vivo nel Duemila e avere le forme è ritenuto sbagliato.”

Nel 2020 essere incoraggiati a sentirsi sbagliati per il proprio corpo non è più tollerabile!

(Il video integrale del Monologo di Vanessa Incontrada)

31/08/2020 0 comments
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Romina Rubino Psicoterapeuta Italiana a Londra
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Membro BACP. Riceve a Londra. Email: rominarubino@yahoo.it

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