“La realtà dell’altro non è in ciò che egli ti rivela, ma in ciò che non può rivelarti.
Perciò, se vuoi capire l’altro, non ascoltare ciò che egli ti dice,
ma piuttosto ciò che egli non dice.”
K. Gibran
Con l’avvicinarsi dell’apertura delle scuole sento l’esigenza di contribuire anche io a fare un po’ di chiarezza rispetto a quello che definirei “il fenomeno gender”.
Già numerosi colleghi infatti si sono dedicati alla questione per cercare di mettere un po’ di ordine tra le idee confuse e volutamente distorte che ormai circolano pericolosamente su internet da qualche tempo.
Nota come “teoria gender”, si è diffusa l’assurda convinzione che la scuola, il Ministero della Salute e i professionisti della salute mentale siano improvvisamente e tutti insieme impazziti e si siano coalizzati per inculcare nelle menti dei bambini idee come “cambiare sesso, masturbarsi, visionare materiale pornografico”, distorcendo irrimediabilmente le loro menti.
Letto così sembra davvero strano in effetti, potremmo dire che c’è chiaramente qualcosa che suona almeno come insolito. Ma come è possibile che tante persone, anche di buon senso, si siano lasciate contagiare da queste false informazioni, contribuendo alla diffusione di quella che è ormai diventata un’ondata di allarmismo?
Probabilmente questo fenomeno ha trovato grande diffusione perché l’oggetto della discussione tocca temi con cui la nostra società non ha ancora fatto del tutto i conti come la sessualità, ma soprattutto perché la questione riguarda il tema delicatissimo della protezione e della corretta educazione dei figli, che richiama fantasmi e paure ataviche come quella di non essere dei genitori sufficientemente buoni.
Mi sembra necessario fare chiarezza sui fatti, su cosa cioè è accaduto.
La cosiddetta “Teoria gender” è un’invenzione, una bufala, una bugia!
Psicologi, psicoterapeuti, sociologi, professionisti della formazione e dell’educazione, insomma, esperti del settore non fanno altro che dichiararlo e scriverlo a chiare lettere ovunque. Eppure continuano a fioccare post su Facebook creati probabilmente da sconosciuti che diffondendo falsità, incitano i genitori a difendere i loro figli dalla scuola (!) luogo deputato alla formazione e all’educazione.
Ma le bugie che “funzionano” e cioè che trovano facile diffusione tra chi non ha voglia di approfondire, sono quelle che partono da una realtà sulla quale vengono costruite delle falsità, tali per cui l’informazione che ne emerge alla fine è completamente distorta.
La grande bugia intitolata “teoria gender” nasce da una distorsione appunto delle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sui Corsi di educazione emotiva, affettiva e sessuale che sono già attivi nelle scuole e che sono stati implementati nel ddl “Buona scuola”.
Questi corsi educativi, lungi dall’essere “lezioni di sesso” con tanto di dimostrazioni e supporti pornografici, hanno invece lo scopo di educare bambini ed adolescenti all’affettività e alla sessualità, facendo chiarezza su questi temi attraverso un’informazione corretta e scientifica.
Non mi dilungherò sui dettagli e sul confronto tra la verità e le bugie diffuse, in quanto numerosi colleghi hanno già trattato questi aspetti in modo egregio (lascerò i link di alcuni interessanti articoli alla fine).
Vorrei invece condividere alcune riflessioni sui temi implicati in questo strano fenomeno.
Il primo riguarda l’“educazione sessuale”, l’aspetto probabilmente più controverso e che ha suscitato il maggior clamore e anche la maggior confusione. Ma perché?
La sessualità ed il piacere ad essa collegato sono aspetti normali della vita di ogni individuo sano. Sembra questa un’affermazione inutile e scontata e invece sento proprio l’esigenza di sottolinearla, poiché a dispetto della sempre più tecnologica modernità in cui siamo immersi, la sessualità resta purtroppo ancora un argomento di cui è meglio non parlare: un tabù.
Così lo definì Freud agli inizi del ‘900 e, forse anche con la complicità di una certa cultura che definirei di integralismo religioso, sembra che a distanza di più di un secolo le cose non siano del tutto cambiate.
Esiste ancora, infatti, una parte della popolazione che associa il sesso e la sessualità a qualcosa di “sporco”, qualcosa di cui vergognarsi, di cui essere imbarazzati e quindi da nascondere.
Insomma, non se ne deve parlare. Come se non parlando di un argomento, rendendolo tabù appunto, questo scomparisse come per magia insieme a tutte le sue implicazioni.
Invece quello che accade nella realtà è che, spinti da una curiosità che è innata, naturale, spontanea i ragazzi cercano di scoprire, di informarsi con i mezzi che hanno a disposizione su vari temi, tra cui anche la sessualità. Da qui una recente indagine che ci rivela come le principali fonti di informazione da cui gli adolescenti attingono per informarsi sulla sessualità sono gli amici, i mass media e ovviamente internet e solo in ultima posizione troviamo la famiglia.
Come vorresti che i tuoi figli fossero informati rispetto alla sessualità?
Attraverso dei corsi di educazione sessuale scolastica tenuti da professionisti del settore, esperti con strumenti idonei e pensati per le diverse fasce di età, insegnanti formati e psicologi con competenze nell’ambito della psicologia dello sviluppo?
O ritieni più idoneo che tuo figlio si informi da solo su internet, tra un sito pornografico ed un consiglio di un coetaneo che probabilmente ne sa meno di lui? E che tipo di immagine della sessualità e della figura della donna viene veicolata oggi su internet?
Direi un’immagine falsata, finta, irreale, distorta, insana, irrispettosa.
Come sottolinea l’OMS i problemi legati alla disinformazione in ambito sessuale sono numerosi e di una certa gravità:
“La Regione Europea dell’OMS si trova di fronte a numerose sfide riguardanti la salute sessuale: i tassi crescenti dell’HIV e di altre infezioni sessualmente trasmesse (IST), le gravidanze indesiderate in adolescenza e la violenza sessuale, solo per citarne alcune. Bambine e bambini, ragazze e ragazzi sono determinanti per il miglioramento della salute sessuale generale. Per maturare un atteggiamento positivo e responsabile verso la sessualità, essi hanno bisogno di conoscerla sia nei suoi aspetti di rischio che di arricchimento. In questo modo saranno messi in grado di agire responsabilmente non solo verso se stessi ma anche verso gli altri nella società in cui vivono.”
Ignoranza e disinformazione sono inoltre alla base di fenomeni come discriminazione e bullismo, perché tutto ciò che non conosciamo è automaticamente categorizzato come “altro da noi”, “diverso” e quindi pericoloso.
La strategia che si propone di adottare nelle scuola ha come obiettivo quello di favorire una cultura del rispetto delle differenze che è alla base di ogni società civile!
Insegnare ai bambini che viviamo in un mondo fatto da tante persone simili ma diverse, ciascuna speciale per la propria soggettività significa lavorare per la costruzione di un mondo migliore.
Insegnare che si può essere alti, bassi, magri o paffuti, maschi o femmine, omo o eterosessuali, con le orecchie a sventola o col naso pronunciato, coi capelli rossi, biondi o scuri, con la pelle bianca o nera, significa creare un buon terreno dove ciascuno potrà crescere semplicemente essendo se stesso, senza doversi vergognare di come la natura l’ha fatto, senza doversi sentire a disagio per ciò che sente dentro di sé.
E significa anche che questa società non accetta fenomeni di discriminazione di alcun tipo, in quanto rispettosa dell’altro anche se, o proprio perché diverso.
Non si tratta di “far diventare omosessuali tutti i bambini” (!) ma di costruire un ambiente dove bambini e adolescenti possano trovare uno spazio di ascolto accogliente e sereno dove depositare le proprie curiosità, i dubbi, le domande; uno spazio abitato da adulti competenti e pronti a rispondere con affettività e preparazione anche alle domande che riguardano l’orientamento sessuale.
Può creare qualche difficoltà un figlio che fa coming out, che dichiara cioè di essere omosessuale, come può creare sofferenza un figlio che magari non vuole studiare per proseguire una professione che si tramanda da generazioni nella propria famiglia, ad esempio. Ma quando questo accade è un diritto di quel ragazzo/a essere ciò che sente, sviluppare se stesso per ciò che è senza essere discriminato.
Ed è un nostro dovere contribuire alla costruzione di un ambiente e di una società dove questo ragazzo, magari nostro figlio, non debba sentirsi malato, sbagliato e quindi emarginato ed escluso solo perché segue se stesso.
Quando i bambini sono disinformati, diseducati alla diversità, all’alterità che ciascuno di noi in qualche modo rappresenta per l’altro, si finisce in una società in cui le minoranze divengono vittime di bullismo e di discriminazione, società in cui non importa più chi sei, qual è la tua storia, quanti passi hai percorso o quanto hai sofferto, ma in cui vieni giudicato solo perché sei donna (e quindi incapace), o sei nero (e quindi inferiore), o sei piccolo (e quindi stupido)…
I bambini a cui oggi qualcuno vorrebbe sottrarre il diritto ad una corretta educazione sessuale, emotiva ed affettiva, saranno i bulli di domani, vittime di una disinformazione causata dai genitori che oggi sono disinformati e scettici forse proprio perché a loro volta non hanno ricevuto idonea informazione ed educazione sul tema della sessualità e della parità dei diritti.
Nell’informazione (persino quella sulla sessualità!) non c’è nulla di sbagliato, perché se c’è qualcosa che crea danno, malessere, o nevrosi (per dirla alla Freud) è ciò di cui non si può parlare, che resta chiuso, nascosto, inespresso.
Spesso mi sembra che i dubbi e le perplessità suscitate da taluni rispetto al tema dell’educazione affettiva e sessuale nelle scuole siano dettati più da una carenza personale, e cioè che questa onda di allarmismo abbia avuto origine da persone che evidentemente non hanno avuto occasione di sviluppare un rapporto sano ed equilibrato con la propria sessualità e che per questo, spero almeno in buonafede, trasformino in “abominio” quella che è semplicemente una corretta e sana educazione alla civiltà.
Alla base della salute mentale (nostra e quindi anche dei nostri figli) c’è la parola. Dare parole alle emozioni, alle sensazioni, alle domande, fornire informazioni e uno spazio di ascolto accogliente e competente non è mai sbagliato ed è anzi fonte di arricchimento e segno di salute mentale per il singolo e di civiltà per il sociale.
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